Amare senza soffrire a qualcuno sembra impossibile e persino contraddittorio. Quante volte infatti è capitato di sentire, o peggio dire, cose dell’altro mondo come “amare veramente vuol dire sacrificarsi in silenzio” o “l’amore vero è capace di tutto”?
Una vita grama che rischia di finire all’ospedale, o peggio, forse perché si confonde semplicemente, ma gravemente, la parola impegno con la parola sofferenza. Amare una persona richiede certamente impegno nella relazione ma mai sofferenza, punto.
(in copertina: il bacio di Paul Newman e Joanne Woodward, stupendi nella vita e sul set)
L’amore dato e ricevuto migliora infatti la qualità della vita di entrambi i partners, influenzandone positivamente anche la salute, stimola la crescita personale, rende più capaci di rispondere alle sfide della vita e di conquistare mete importanti. Rende entusiasti, responsabili, solidi, energici e più belli. È contemporaneamente calore e libertà per cui la reciproca realizzazione non è mai un ostacolo al rapporto. L’amore vero incrementa la voglia di vivere perché è Vita e molto altro.
Quali sono dunque le 7 mosse intelligenti che fanno amare senza soffrire le persone felici?
Se apri un negozio con un socio e questo arriva e parte quando vuole, impegnandosi come può, tanto ci sei tu a tirare il carretto per entrambi, ma pronto a dividere l’incasso con te a fine giornata… è un approfittatore a cui permetti di approfittare o fai filosofia sul perché lo fa, su cosa potrebbe cambiarlo in meglio o sui suoi traumi infantili? La coppia felice è una coppia equilibrata sul dare e ricevere, una società esattamente alla pari per diritti, doveri e responsabilità. Segno di amore per se stessi è dire, se servisse, “Scusa amico, io faccio così e così e tu ne trai vantaggio, quindi vedi di fare altrettanto”. Segno di amore per il partner è dire, se servisse, “Grazie caro di tutto ciò che fai per me, ma non strafare, ti amo e non ne voglio approfittare”.
Tutti abbiamo problemi più o meno consistenti provenienti dal nostro passato, il punto è che chi ama davvero non rovescia i suoi problemi sul partner ma li risolve senza di lui/lei, meglio se prima di coinvolgerlo nella propria vita. Se ciascuno si porta dietro i suoi problemi personali consistenti e irrisolti nella relazione, quest’ultima diventa purtroppo il cestino della spazzatura indifferenziata.
Ci sono persone che usano la relazione di coppia per riempire i propri vuoti, essendo accudite come bimbi incapaci di restituire l’affetto ricevuto e partners disposti a tutto per sentirsi bravi anzi più bravi di… La Sindrome di Wendy cioè da crocerossina, dal nome della brava ragazza nella favola di Peter Pan, si riferisce a quell’insieme di comportamenti presenti in persone eccessivamente accudenti e giustificanti verso gli altri, anche a costo di sacrificare se stesse, le proprie necessità ed aspirazioni. A seconda della pesantezza esistenziale del partner, la o il Wendy di turno starà lì a consumarsi per riuscire in ciò che hanno fallito prima di lei i genitori, gli amici e tutte le ex. E qui sta la grande tentazione per Wendy: voler essere amata dal bamboccione/a in quanto più brava di chi c’ha provato prima di lei. Mission impossible, naturalmente, perché non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire e perché ognuno è responsabile della sua vita, soprattutto l’irresponsabile. “Io ti salverò” come il celeberrimo film di Alfred Hitchcock, ma anche “Io ti farò capire” o “So chi potresti diventare col mio aiuto” o trappole del tutto simili da manuale, secondo Robin Nordwood e il suo famoso libro Donne che amano troppo.
Ama te stesso, pensando prima di tutto a te stesso e a come stai veramente, non rispondere frettolosamente “Bene grazie dai…”. Chiediti con coraggio “Questa persona mi ama più di quanto mi abbiano amato o mi amino le altre persone?”. Non perdere dignità e non distruggere l’autostima: se non ti ama o peggio ti ama a modo suo, non è perché ti manchino i requisiti dell’amabilità ma perché non sei il suo tipo, il che di solito è una gran fortuna! Non è vero che non si trova di meglio in un mondo abitato da miliardi di persone, la mossa essenziale è fuggire dal processo di depersonalizzazione dentro cui molti letteralmente si sciolgono, corpo e anima, nella persona desiderata. La speranza dell’altrui conversione porta al dissanguamento dell’eroe.
Una volta per tutte: non è questione di amare o di non amare una persona ma di volerlo e saperlo dimostrare. I sentimenti non dimostrati e non comunicati in sostanza non esistono. Questo vale per chi dice di amare ma di faticare a dimostrarlo, oppure per chi dice di amare ma a modo suo, oppure per chi dice “dai dai che te lo dimostro sempre” oppure “dai dai che te l’ho già detto”… Domanda diretta: dai da mangiare al cane una volta al giorno o lo porti in pizzeria a san Valentino? Esistono, come ben spiega Gary Chapman ne I cinque linguaggi dell’amore, ben cinque modi per dimostrare affetto e amore ad una persona perciò, se questa interessa, basta chiederle quale dei cinque preferisce ricevere e… farlo.
Il fatto che la coppia sia una società con la regola della reciprocità non significa che si debba giocare a braccio di ferro per ottenere dall’altro il suo cambiamento o ciò di cui si ha diritto. Tutta l’annosa questione del “se mi ami, mi accetti come sono e non pretendi il mio cambiamento” è così semplicemente risolta: ognuno, per amore di se stesso, punta alla propria crescita personale risultando automaticamente un partner moooolto meno pesante di quello che sarebbe se non si preoccupasse del suo miglioramento. Fine di ogni fiato sul collo proprio e altrui e inizio della stima reciproca.
E poi ci sono le persone che non mollano perché “mai mollare”, perché “cosa farebbe senza di me”, perché “ormai”, perché “cosa direbbero gli altri se mi finisse anche questa storia”, perché “ho una responsabilità verso i miei figli o i miei genitori”. Tutto comprensibile certo: ma è sempre meglio un asino vivo di un dottore morto anche per i figli, soprattutto per i quali ogni genitore vorrebbe che imparassero subito ad amare senza soffrire.
Dunque anziché amare senza soffrire, capita spesso che l’innamoramento si trasformi in un’abitudine a soffrire fino a divenire un dolore costante e dato per scontato, generando sempre nefaste conseguenze psicologiche, fisiche ed economiche per tutte le Wendy del mondo.
In pratica: se stai soffrendo per amore non ti stai amando, non sei di certo amato/a dal partner e ciò che chiami amore è la tua incapacità di mettere davanti alle sue responsabilità il socio/a approfittatore.
Credo che se hai resistito fin qui nella lettura, significhi che non stai soffrendo per amore o che ti sei definitivamente stufato/a di soffrirne.
In entrambi i casi, ti auguro di amare senza soffrire e di poterti sinceramente dire “Io non sono ciò che mi è capitato di essere, io sono ciò che ho scelto di diventare”.