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Stanno per partire i vari “Open-day” a scuola, per i quali servirebbe anche una buona dose di “open-mind”, frequentati da ragazzi e ragazze che cercano di capire quale potrebbe essere la loro prossima scuola o Università.
Che piaccia o no, oggi tutti gli istituti hanno bisogno di mettersi in fiera come le aziende, mostrando il meglio delle loro caratteristiche, nella speranza di raccogliere iscrizioni.
Le cose in Italia si sono letteralmente invertite: da una parte una denatalità impressionante, dall’altra praticamente tutti proseguono, non necessariamente terminando, gli studi.
Questo è il dato di partenza. Altro dato è che un tempo chi studiava aveva il lavoro assicurato e, d’altra parte, non c’era l’enfasi attuale sullo scegliere ciò per cui si è portati.
Il punto, però, è che l’enfasi attuale, legittima, sul fare nella vita ciò per cui si è portati, non è supportata e in qualche modo anticipata dal conoscere, almeno un poco, se stessi, le proprie passioni, i propri punti di forza e debolezza.
Prima ancora di chiedersi, sempre che sia possibile fidarsi della risposta di oggi, cosa chiederà il mondo del lavoro tra cinque anni.
Esso, infatti, si caratterizza sempre più per un alto livello di mutevolezza, differenziazione di ruoli e specializzazione delle competenze.
Saper orientare gli altri implica saperlo fare con se stessi, innanzitutto, e soprattutto oggi equivale a essere in grado di immaginare più strade possibili, concentrandosi sull’emozione che dà motivazione e sulle “competenze di vita”, così chiamate e individuate dall’Oms.
Cominciando da queste ultime, significa che puoi avere anche tutti dieci a scuola, ma ciò che serve nella vita è: autoconsapevolezza, capacità relazionali, empatia, comunicazione efficace, gestione delle emozioni, gestione dello stress, senso critico, creatività, saper prendere decisioni, saper risolvere problemi.
Per tutto questo esiste l’educazione in età evolutiva e l’autoeducazione in età adulta, oggi impensabili senza un confronto competente, almeno nei momenti in cui è necessario prendere delle decisioni.
I giardini belli richiedono cura, le erbacce tra i fiori non si tolgono da sé.
E, poi, è necessario concentrarsi sull’emozione che dà motivazione: quali giochi (non giocattoli) facevi da bambino, quali erano i tuoi eroi reali o fantastici, quale il racconto letto o visto che ti ha emozionato di più, quale sito guardi più spesso… Altro che voler fare e guadagnare come il tal influencer!
Si chiama “Life design” la progettazione e gestione del proprio progetto di vita, percorso con cui le persone sono aiutate a delineare la propria storia attraverso risposte adatte a sé e al contesto, assolvendo il proprio scopo, attraversando le transizioni, trovando soluzioni.
Che le persone, soprattutto giovani, abbiano sogni nel cassetto e che questo cassetto venga aperto per verificare se il sogno può trasformarsi in progetto e, infine, in quella “casa” personale che è la vita ben vissuta di ciascuno di noi.