Tutti i diritti riservati
Prima del covid, cioè solo tre mesi fa, sette bambini italiani su dieci preferivano giocare al cellulare, piuttosto che passare il loro tempo libero all’aria aperta o con gli amici. Idem per i ragazzi più grandi: non solo preferivano ma anche non sapevano che fare senza smartphone. Questa povertà antropologica, ragazzini pieni di cose eppure incapaci di giocare e divertirsi, è stata indotta in poco più di un decennio da abitudini finalizzate ad avere figli poco impegnativi (silenziosi, che stanno fermi in divano, non si sporcano, non mettono in disordine, non fanno richieste scomode agli adulti, tipo “facciamo un giro in bici” o “costruiamo una casetta per le bambole”).
Figli poco impegnativi, che rischiano di diventare cittadini poco impegnati. Occorre sempre fare la stessa premessa che no, tranquilli tutti, non stiamo demonizzando la tecnologia. La digitalizzazione serve eccome, solo che moltissimi adulti mostrano chiari segni di dipendenza, non competenza, dai device e che, come sempre, bambini e giovani imparano dall’esempio. Saltando a piè pari i danni cerebrali e psicologici di un’eccessiva esposizione digitale, noi famiglie (dodici milioni di coppie di genitori) abbiamo il diritto e il dovere di determinare la futura scuola dei nostri figli. E’ evidente che avere uno smartphone a testa non ha fatto diventare buona la scuola in pandemia. Prima di tutto la Didattica a distanza (Dad) non è democratica, perché dipende da dove vivi, dalla famiglia che hai, dalla casa e dal contesto sociale in cui abiti, da quanto hanno studiato i tuoi genitori, dalla scuola che frequenti. La cosidetta Dad, insomma, acuisce le differenze socioculturali e discrimina ulteriormente gli alunni con disabilità e gli studenti a rischio dispersione, anche se un Babbo Natale ministeriale portasse un device nuovo di zecca a ogni ragazzino della penisola. La Dad inoltre non custodisce i minori in un luogo Comune e protetto, la scuola appunto, quindi obbliga almeno un genitore a rimanere a casa, involvendo famiglia e società dal punto di vista economico e di rapporti tra uomini e donne. Insegnare e imparare a distanza è più difficile, meno efficiente e meno efficace che farlo in presenza, quindi la Dad è e resta didattica dell’emergenza e non l’opzione pedagogica della scuola innovata e innovativa di un’Italia che rinasce! In proposito, dovrebbero essere interpellati gli insegnanti in gamba che stanno vivendo il loro declassamento professionale, ridotti a video-istruire piuttosto che a educare.
Ovviamente, esistono tutte le modalità per tornare a una scuola… migliore di prima, ma è necessario che sia riconosciuta l’importanza o almeno l’emergenza educativa. Esattamente come si è riconosciuta l’emergenza sanitaria e sono state investiste ingenti risorse economiche per costruire in pochi giorni ospedali da campo, riconvertire in strutture sanitarie aree non utilizzate, acquistare dispositivi medici salva-vita, inserire in modo straordinario personale con diverse competenze. La Dad sia davvero una scelta temporanea e sanitaria, non una scelta per derive ideologiche. Eviteremo le pesantissime ripercussioni, sanitarie e sociali, sulla strutturazione della personalità, sulle capacità relazionali, sull’equilibrio psicofisico, sulla formazione scolastica dei minori ridotti altrimenti ad autistici digitali. La famiglia ha capito che la salute mentale del nostro futuro, i figli, dovrebbe valere almeno quanto la salute fisica del nostro passato, i nonni.