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Ricordo una scena al supermercato di parecchi anni fa. Una mamma con la sua bambina di cinque anni nella corsia delle acque minerali. “Gloria Vittoria Benedetta Luce (nome fittizio per far percepire quanto mamma si sentisse inadeguata al ruolo) che acqua minerale preferisci?” La reginetta regnante iniziò a schizzare come pallina nel flipper tirando giù dallo scaffale una bottiglia verde di minerale liscia, anzi no blu gassata, anzi no effervescente naturale, no meglio dietetica, oppure diuretica, aspetta la bottiglia ricca di sali minerali è addirittura rossa! Una bambina decisamente “sfortunata” pur avendo la mamma a sua completa disposizione, anzi sfortunata proprio per questo. Le conseguenze erano abbastanza prevedibili: diventata grande, l’ex bimba libera di scegliere tutto aveva problemi di discernimento e non sapeva che fare, in concreto, della sua vita.
Se è chiaro che non è così che si insegna a prendere decisioni, ci possiamo chiedere da dove venisse questo chiedere alla figlia “come si deve vivere” da parte della mamma. Molto facilmente, dalla comprensibile paura di ogni educatore di prendere decisioni sbagliate, identificando però queste ultime con ciò che risulta semplicemente scomodo a bambini e ragazzi, fuori cioè dalla loro “comfort zone”. Lo spauracchio di molti adulti è la frustrazione e la rabbia, pur in particelle atomiche, delle nuove generazioni. Che comunque, accontentate materialmente in tutto, sono arrabbiate lo stesso. A ben guardare questa storia così comune e altri esempi più eclatanti, l’errore più grave non è prendere una decisione sbagliata (capita!) bensì non prenderla affatto: come genitori si sbaglia se si è in obbedienza, piuttosto che in ascolto, dei figli. Ma lo stile educativo che non apparteneva alla mamma in questione, cioè autorevole-non autoritario, ha anche un fondamento scientifico oltre che antropologico?
La risposta è sinteticamente sì e si rifà allo sviluppo cerebrale dell’essere umano. Il nostro cervello infatti, quello dei nonni, dei genitori, dei millenians e di chi dopo di loro, termina il suo sviluppo non a 5 non a 15 ma a 25 anni circa e fino ad allora risulta biologicamente immatura la corteccia prefrontale, l’area coinvolta nella capacità di scelta e anche di valutazione del rischio. Ecco perché c’è un accompagnamento ed apprendimento graduale a decidere, ecco perché come adulti non possiamo cavarcela con un semplice “Io gliel’ho detto, ora sta a lei fare le sue scelte”, ecco perché la generazione presente rischia di soffrire, e spesso soffre, molto di più di quella dei suoi educatori.