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C’è un neologismo che fonde il verbo share-condividere col sostantivo parenting-genitorialità ottenendo il termine sharenting cioè l’uso disfunzionale dei social da parte dei genitori ai danni dei figli. È il fenomeno per cui la maggior parte dei genitori al mondo condivide su Internet in modo abituale, di solito inconsapevole e spesso compulsivo foto, video e storie che riguardano i propri figli, minori. Nella stragrande maggioranza dei casi questa esposizione avviene senza il loro consenso, perché troppo piccoli e non ancora consapevoli delle implicazioni presenti e future dell’agire dei loro genitori. Genitori che non si pongono il problema delle conseguenze né immediate né lontane nel tempo, che non chiedono il consenso all’altro genitore, che non si chiedono se il figlio soffre o soffrirà del modo con cui è narrata la sua vita proprio da loro. Genitori che non si pongono il problema se per i figli sarà possibile crearsi un’identità digitale propria.
Quando il contenuto viene lanciato in rete dai genitori attraverso parenti e amici si amplifica l’impatto della diffusione e la contemporanea perdita di controllo sui contenuti: si tratta di dati sensibili e tracce digitali che vanno a sedimentarsi in rete diventando parte dell’identità digitale perpetua dei ragazzi, a disposizione di chiunque. Tutti sapranno per sempre che è figlio di, che suo padre è così e così e che la mela, il povero minore in questione, non cade mai troppo lontano dall’albero. Postare le foto dei propri figli sui social è diventato per molti un gesto non ragionato, simbolo dell’enorme bisogno di approvazione dal mondo esterno perché non ne hai abbastanza, di approvazione e rispetto, dal tuo personale “interno”. Non ti senti granché quindi posti una cosa che hai fatto, o una cosa che possiedi, o meglio ancora una cosa che hai fatto e che contemporaneamente possiedi: tuo figlio, tua figlia. Meglio non pensare nemmeno per un attimo che il rischio è quello di diffondere contenuti utili ad alimentare materiali pedopornografici: foto o video pur innocenti possono essere scaricati e collocati in altri ambienti online da chiunque e per altri scopi, manipolandoli con semplici programmi di editing.
Meglio non pensare al rischio di adescamento quando vengono costantemente narrati online dati sensibili, abitudini, scuola frequentata, palestra e tragitti percorsi. I più grandi maestri di sharenting ne fanno addirittura un business perché se un gatto fa simpatia, il bambino col gatto e col papà che deve operarsi fa stravendere. Infine, se alcuni minori si scocciano appena il genitore inizia a fotografare, altri si dimostrano ben contenti di ammiccare e assumere pose adultizzate e sessualizzate, da Lolita insomma. Se un genitore vuole essere social di suo ma tutelare i propri figli può andare, stavolta sì, su Internet per informarsi, col rischio di scoprire che i propri figli potrebbero benissimo rivolgersi a Telefono Azzurro o Save The Children. Poiché si è bambini solo una volta ed adulti per il resto della vita.